martedì 1 luglio 2008

suicidio

Quando uno la sua vita, l'unica che ha, ce la sbatte in faccia, ci restiamo male per quel momento del condolore che basta a tacitarci la coscienza. Cosa gli, le abbiamo fatto di (tanto) male? A noi sembra che questa sia una vita da godere fino all'ultimo, a costo di sgomitare e arrampicarci sulle spalle e la testa altrui. Quell'altrui può essere chiunque, ma fingiamo che non sia quello su cui ci siamo appoggiati per prendere la rincorsa o la spinta. Magari non è proprio quello, è un altro, ognuno si tiene i suoi rimorsi e se tutti corriamo come matti sullo stradone del successo e qualcuno non ce la fa e finisce nel fosso, pace all'anima sua, adesso si riposa, magari riusciamo perfino a spremere una lacrima, nemmeno salata. Sono i morti che lasciamo sui cantieri, quelli spiaccicati sulla strada della fretta e della velocità, quelli ridotti a cercare vie di fuga catacombali. Non c'è, direbbe Guccini, nemmeno una colonna sul giornale, la Chiesa acconsente ai funerali con discrezione, conscia del fatto che se li rifiutasse quello che veniva chiamato (dalla Chiesa stessa) "Insano gesto" farebbe ancora più scalpore (come ha sperimentato). Ma non si parla di morte, figurarsi di suicidio. Derubricato ad "incidente". Ci si può sparare in testa per incidente, ci si può buttare nel lago per incidente, la morte stessa in fondo è un "accidente" e non una "sostanza". Bisogna tornare a leggere i classici, per noiosi che siano. Don Ferrante (Promessi Sposi) muore di peste dopo aver passato giorni a fare elucubrazioni sul fatto che la peste non possa esistere.

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