lunedì 30 giugno 2008

fiesta

Della Spagna noi sapevamo di una guerra terribile, detta "civile" quasi per beffa, i fratelli hanno ucciso i fratelli, mio padre raccontava di una guerra combattuta dalla parte sbagliata per gente che non sapeva fosse al mondo, e quel poeta (Garcia Lorca) ucciso come uno sberleffo che i poeti per certa gente sono "brutte creature", come cantava De Gregori. C'era poi quel romanzone sulle "Gride" che identificavano gli spagnoli dominanti come spacconi inconcludenti e arroganti, spada e cappa. che quando leggemmo "Fiesta" scoprimmo un altro mondo esotico fin dalla copertina, toreri e amori calienti come certe canzoni e solo "Marcellino pane e vino" e Pablito Calvo ci davano un segno di popolo alla buona come noi. E poi quella dittatura che non finiva mai e noi eravamo arrivati a pensare che la Spagna fosse buona solo per le vacanze e peccato ci fosse il Real Madrid che vinceva sempre e dappertutto. In pochi anni la Spagna ha fatto miracoli. Ed è l'unico paese dove il centrosinistra è al potere e ha il consenso (In Inghilterra c'è stato un crollo). Possibile che noi non riusciamo a produrre personaggi di spessore che ci aiutino a rimontare?

venerdì 27 giugno 2008

ostracismo

Sono (naturalmente in paradosso) per il ritorno alla sana pratica dell'ostracismo che nell'antica e democratica Grecia consentiva al popolo di votare (sui cocci, che si chiamavano ostrakon) il nome di un politico o un personaggio pubblico che stava diventando troppo potente e quindi minacciava la democrazia. Ha fatto vittime illustri e molti innocenti sono andati in esilio per i 10 anni previsti dalla legge. Un sano ostracismo consentirebbe, senza campagna elettorale televisiva, altrimenti si truccano le carte, di far fare una vacanza in qualche isolotto tipo Sant'Elena a qualche nome eccellente. Naturalmente lo faremmo all'italiana e finirebbe che mandiamo via i migliori lasciando in carica corruttori e maneggioni (lo hanno fatto anche gli ateniesi, e non in un solo caso). Direte, il popolo non è affidabile. Certo. ma delle volte, se lo si lascia libero di pensare, ci azzecca: non avrebbe mandato mai in esilio Donadoni. Non ci giurerei, viste le reazioni che ho sentito, che non ci manderebbe Lippi, detto il "nuovo" che ritorna. Lippi è come Luigi XVIII che pretese che la Rivoluzione e Napoleone non fossero nemmeno esistiti. Di lui e i suoi compari Prevert ha scritto: "Che razza di gente è questa che non ha saputo contare fino a 20?". Nel senso che i re di Francia di nome Luigi si sono comunque fermati al 18° quello che pretendeva di ricominciare e in realtà finiva.

sabato 21 giugno 2008

franza o spagna pur che se magna

C'è una scena che è metafora (amara) di vita e può confortarci alla vigilia di Italia-Spagna (o Spagna-Italia? la differenza dovrebbe far differenza): è quella del film di Indiana Jones ne "i predatori dell'arca perduta", in cui nella piazza di un paese arabo, all'improvviso la gente lascia libero il campo al duello tra il "nostro" eroe occidentale e l'arabo vestito di nero e armato di scimitarra. E' il cattivo della storia e il duello comincia con un volteggiare di scimitarra nell'aria da parte dell'arabo, che vorrebbe essere preparatorio a chissà quale duello arabesco: Indiana Jones lo lascia sfogare, tira fuori la pistola, pam e se ne va. Fine. E' quello che succedeva al grande popolo zulù abituato alle guerre praticamente a salve, fatte di gesti e rumori tra i due eserciti, vinceva chi "terrorizzava" di più l'avversario, restando lontano, uno sfoggio di potenza virtuale che doveva mettere in fuga il nemico. Dicono funzionasse, finché sono arrivati gli europei che si sono messi a ridere e hanno aperto il fuoco. Un massacro. Gli Europei (nel senso dei popoli, non del torneo di calcio) del nord hanno la filosofia del cinismo economico, minimo sforzo massimo risultato. Noi italiani siamo un paese a mezzo, la rivoluzione industriale è arrivata quasi un secolo dopo l'Inghilterra ma forse non è nemmeno mai arrivata del tutto, viviamo al di sopra delle nostre possibilità, siamo un incrocio tra cicala e formica. Il nostro calcio ci riflette: per decenni è stato risparmioso, attesa e contropiede. Poi siamo entrati tra le potenze, Arrigo Sacchi ha intuito il momento, dispendio enorme di soldi ed energie per essere tra i grandi. Adesso, dopo la sbornia, attenti al "debito pubblico", ma solo per finta, siamo un ibrido, ci vergogniamo di quello che siamo stati e gli altri ci battono in... contropiede. Ma come ibrido siamo temibili, in tutto. Il mondo ci guarda con curiosità, siamo un capitalismo temperato, forse una democrazia controllata. Ma sempre viviamo al di sopra delle nostre possibilità. Chi la dura la vince. Prima la "Franza" adesso la Spagna. Fin che se magna. Dai che vinciamo.

mercoledì 18 giugno 2008

l'elmo di Scipio

sentire gli inni nazionali cantati è istruttivo. Fino a qualche anno fa solo in America lo cantava (uno o una per tutti) prima dell'avvenimento sportivo. Come per la ola copiata tale e quale dai tifosi spagnoli, anche la moda del (bel?) canto ci ha contagiato, complice il risveglio canora favorito dal Presidente Ciampi. I due inni di Italia (prima) e Francia (poi: ed erano favoriti, quindi) cantati a squarciagola prima della partita di consolazione costringono a pensare alle parole. Due inni guerrieri datatissimi, i colli dell'impero (romano), elmi e i grandi Scipioni (l'Africano, l'Asiatico, Emiliano, quest'ultimo però non nel senso della Regione conquistata) e una volta tanto c'è stata risposta al dov'è la Vittoria con due goal la si è finalmente trovata. La Marsigliese è più sanguinolenta perfino nello sventolare i vessilli. Coorti e battaglioni. Ma, come già dicevo, è più disfida di Barletta che guerra di eserciti.

martedì 17 giugno 2008

sante alleanze

A me fa ancora impressione vedere incontrarsi senza scannarsi Nazioni in campo aperto. Sono della generazione dell'ultima guerra, che ha raccolto i ricordi della "grande guerra", quella del 1915-1918 e sono passati 90 anni da quando il generale Armando Diaz scriveva il suo bollettino della vittoria: La guerra contro l'Austria-Ungheria che, sotto l'alta guida di S.M. il Re, duce supremo, l'Esercito Italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 Maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi è vinta. (...) L'Esercito Austro-Ungarico è annientato: esso ha subito perdite gravissime nell'accanita resistenza dei primi giorni e nell'inseguimento ha perdute quantità ingentissime di materiale di ogni sorta e pressoché per intero i suoi magazzini e i depositi. Ha lasciato finora nelle nostre mani circa trecento mila prigionieri con interi stati maggiori e non meno di cinque mila cannoni. E poi la frase epica che abbiamo imparato a memoria: I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli, che avevano disceso con orgogliosa sicurezza.
Succedeva "solo" 90 anni fa e poi ci fu un'altra grande guerra, massacrante, l'Austria ingoiata dalla Germania come fosse una piccola provincia. Ho seguito Austria-Germania (calcio, trattasi di calcio), due nazioni che si sono integrate anche con matrimoni incrociati, eredi bolsi di grandi imperatori che erano, qualche annetto prima, scesi baldanzosi anche dalle nostre parti. Noi in guerra siamo sempre partiti come alleati dei tedeschi ma abbiamo sempre finito da "uomini contro". Italia-Francia è robetta, la Francia (suo malgrado con i due Napoleoni, il "terzo" (ma un secondo non ci fu) ingenuamente, il primo ponendo le basi dell'unità inconsapevolmente, ci ha aiutato e non poco giusto contro l'Austria. L'Olanda, la Romania, nazioni marginali nella storia e adesso condizionano i giganti nella prosecuzione con altri mezzi della guerra. Da piccoli ci insegnavano a cantare il Piave che mormorava, in piedi, fuori dal banco. Ci insegnarono anche la marsigliese, raccontandoci che la civiultà della democrazia era incominciata da quelle parti. Seppi molto più tardi che era cominciata in Atene 500 anni prima della nascita di Cristo. Ma poi ce l'eravamo dimenticata. Come sembra anche adesso.

martedì 10 giugno 2008

Europa, europei

Siamo il popolo delle cotte, non solo nel senso di quelle dei preti che pure sono rilevanti, ma degli innamoramenti che durano un po' e poi svaniscono. E così da un po' ci siamo disamorati dell'Europa. Non sappiamo di preciso perché, come capita che quella ragazza che ci aveva sconvolto il sonno, d'improvviso scopriamo che ha il naso lungo e le gambe storte. Lei è sempre la stessa, siamo noi che la guardiamo con occhi diversi. E così gli europei di calcio non sono i mondiali: lo diciamo adesso che abbiamo beccato tre gol dall'Olanda dei tulipani. Che poi a guardare la partita sembravamo in grado di "coglierli" (i tulipani) sul fatto quando si voleva. Forse non abbiamo voluto. Siccome siamo tutti molto più bravi di Donadoni abbiamo in testa la formazione giusta per battere chiunque, dagli Orazi contro i Curiazi, dalla disfida di Barletta, siamo il popolo della delega ai "campioni". E le colpe della sconfitta sono anch'esse delegate, i meriti della vittoria, è ovvio, invece sono nostri. Adesso fino a venerdì fingiamo distacco, in fondo siamo campioni del mondo, l'Europa è molto più piccola... Salvo spezzare le reni alla Romania e buttarci sulla sfida infinita con la Francia. Quella va vinta a prescindere.

venerdì 6 giugno 2008

Berlusconi IV Benedetto XVI

Ha detto che "c'è forte sintonia" soprattutto su valori e famiglia. Papa Benedetto deve aver fatto un sobbalzo sulla sedia, che fortunatamente non era quella gestatoria. Dopo il colloquio tra Berlusconi IV e Benedetto XVI, nell'evidenza che non ce la farà mai a raggiungere la XVI volta, se non con crisi di governo a raffica, Il Silvio nazionale che ha nei suoi sogni la salita al Quirinale, dicono abbia promesso al Papa di valutare l'ipotesi di un ritorno dei Papi nello storico palazzo già sede del Papato, appunto il Quirinale, riunificando le due corone. Sulla propria testa.

lunedì 2 giugno 2008

Silvio e Riccò (attenti agli accenti)

Intercettazioni. Berlusconi dice che ogni italiano ha diritto ad alzare il telefono sentendosi libero di non assere ascoltato da altri. Soluzione: "penso a multe per gli editori che le pubblicano". Va bene, ma non sarebbe più logico pensare a "multe" per gli intercettatori? Intercettano tutti e tutto: sui giornali finisce l'1 per mille, penso agli altri 999 che qualcuno può utilizzare a suo piacimento, senza farli finire sui giornali.
Pertini che profetizza Berlusconi dietro la scrivania presidenziale del Quirinale sembra una delle interviste impossibili, aggiustate per le grandi occasioni. L'aneddoto viene riciclato ad usum delphini, Pertini nel colloquio del 1980 "non aprì quasi bocca" e alla fine fece quella profezia. E provare a darle il significato contrario, nel senso di quel tipo che parla parla e Pertini, scocciato, che gli dice, alla fine, "mi sa tanto che un giorno la vedremo da questa parte della scrivania"? A far che? a parlare parlare parlare...
Contador come Balmamion, più che come Indurain. Balmamion vinse due Giri senza mai vincere una tappa, un succhiaruote insomma. Va tutto bene, ma mi è parso di cogliere nel "cronista delle banalità" della Rai una punta di risentimento verso Riccò, tipetto scomodo per i poteri costituiti di cui Bulbarelli è il portavoce: "se la crono avesse avuto 10 km in più lo raggiungeva". Certo, anche al Pora ci fossero stati 10 km in più Contador perdeva la maglia... E Pinotti vince la crono, già campione mondiale di specialità? "E' cambiato il vento, Contador è stato sfavorito". Pinotti è un ingegnere bergamasco, personaggio stupendo. Ma secondo Auro vince per caso. Insomma, come salire (non invitato) sul carro del vincitore. Noi di Araberara abbiamo mangiato in tenda con gli spagnoli tifosi di Contador e non se la... tiravano per niente. Ma Riccò è già scomodo: hanno buttato fuori Pantani dal gruppo, Riccò rischia di essere un altro Pantani, scomodo, solitario, vincente, troppo per i mediocri. Mediocri abbandonati dal tifo. Ma non si può dire. Basta guardare le foto, però...
Silvio e Riccò. Basta spostare l'accento della o sulla e e piombiamo nella banalità.