domenica 5 gennaio 2014

la befana

Non credo che rimanga traccia leggibile di quanto si scrive in internet. Come dicevo ieri uso i nuovi mezzi ma so che questi caratteri avranno vita più lunga di quelli scritti a penna ma la differenza sarà che mentre quelli a penna li legge qualcuno, questi, una volta scritti, il giorno dopo finiscono in un archivio aleatorio che nessuno avrà mai voglia di consultare.
Comunque sia, per Mattia, riporto anche qui la poesia di Giovanni Pascoli (lo scrivo col nome perché mi è già successo a scuola che un ragazzo, di fronte alla "Via Pascoli" dicesse che si chiamava così perché portava ai prati.

In questi giorni di pioggia, aspettando il sole che in tutta evidenza sorge ancora, una poesia sulla Befana (scritta nel 1897) di diversi livelli di lettura, per bambini e per vecchi (non fosse che nei ricordi di scuola) ma ben più profonda dell’apparenza di una lettura da filastrocca. E’, ovvio, di Giovanni Pascoli, poeta troppo banalizzato. Una Befana stanca e perplessa nella distribuzione dei doni (non suoi), che prende atto dell’ingiustizia umana con le mani al petto in croce come usavano dire a noi bambini perché la notte non cadessimo in tentazione, ma la sua voce è solo il vento e ascolta quello stropiccio di una mamma sorridente nella villa e quell’altra che invece ha solo un sospiro lungo e fioco guardando quei tre zoccoli consunti (chiedete ai nonni e vi racconteranno degli zoccoli). La Befana vede e sente e fugge, scappa, non può farci niente, la sua notte finisce nell’aurora e sulla terra c’è chi piange e c’è chi ride e la Befana “ha nuvoli alla fronte”. Non è a lei che tocca porre rimedio.

LA BEFANA
Viene viene la Befana
vien dai monti a notte fonda.
Come è stanca!
la circondaneve,
gelo e tramontana.
Viene viene la Befana.

Ha le mani al petto in croce,
e la neve è il suo mantello
ed il gelo il suo pannello
ed il vento la sua voce.
Ha le mani al petto in croce.

E s’accosta piano piano
alla villa, al casolare,
a guardare, ad ascoltare
or più presso or più lontano.
Piano piano, piano piano.

Che c’è dentro questa villa?
uno stropiccio leggiero.
Tutto è cheto, tutto è nero.
Un lumino passa e brilla.
Che c’è dentro questa villa?

Guarda e guarda...tre lettini
con tre bimbi a nanna, buoni.
Guarda e guarda...ai capitoni
c’è tre calze lunghe e fini.
Oh! tre calze e tre lettini.

Il lumino brilla e scende,
e ne scricchiolan le scale;
il lumino brilla e sale,
e ne palpitan le tende.
Chi mai sale? chi mai scende?

Co’ suoi doni mamma è scesa,
sale con il suo sorriso.
Il lumino le arde in viso
come lampada di chiesa.
Co’ suoi doni mamma è scesa.

La Befana alla finestra
sente e vede, e s’allontana.
Passa con la tramontana,
passa per la via maestra,
trema ogni uscio, ogni finestra.

E che c’è nel casolare?
Un sospiro lungo e fioco.
Qualche lucciola di fuoco
brilla ancor nel focolare.
Ma che c’è nel casolare?

Guarda e guarda... tre strapunti
con tre bimbi a nanna, buoni.
Tra la cenere e i carboni
c’è tre zoccoli consunti.
Oh! tre scarpe e tre strapunti...

E la mamma veglia e fila
sospirando e singhiozzando,
e rimira a quando a quando
oh! quei tre zoccoli in fila...
veglia e piange, piange e fila.

La Befana vede e sente;
fugge al monte, ch’è l’aurora.
Quella mamma piange ancora
su quei bimbi senza niente.
La Befana vede e sente.

La Befana sta sul monte.
Ciò che vede è ciò che vide:
c’è chi piange e c’è chi ride;
essa ha nuvoli alla fronte,
mentre sta sul bianco monte.




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