domenica 30 maggio 2010

salve

Ieri si è ripetuta una scena madre, anzi, una scena padre. Stavamo giocando sul prato a pallone, noi due soli (Mattia ha imparato a tirare indietro la palla con la pianta del piede e poi ripartire, mica male: tranquilli ha già proferito e sentenziato che lui non vuole diventare un campione di pallone e gli ho detto che io voglio che lui resti Mattia e basta e si è tranquillizzato), dicevo noi due soli e a un certo punto è sudato, gli dico, "intervallo" e lui va verso le panche a sedersi. Gli faccio segno che vado un momento in bagno. Quando esco non c'è più, torna vicino alla panca e chiedo alla signora che c'era al bar dov'è Mattia, lei dice che è venuto a cercarmi. Torno indietro, faccio il giro dell'edificio e lo trovo vicino alla mia auto che piange a dirotto. Quando mi vede mi viene incontro in lacrime, "dov'eri andato"?. Era disperato. Gli ho spiegato il malinteso. "Ma io ero entrato in bagno, ma non ho sentito rumori". Che dire, che fare, si è quietato a poco a poco, "ma tanto avevi visto che l'auto c'era". "Sì ma tu non c'eri". La sofferenza a salve allena a sopportare in futuro la sofferenza vera o è pura tortura gratuita?

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