venerdì 12 marzo 2010
giocare
Abbiamo perfino giocato a palle di neve, l'altro giorno, Mattia ed io (vedete la correttezza formale, anche se il padre dovrebbe venire sempre prima del figlio). Non ci giocavo da quando ero ragazzo, mi sono perfino divertito. Con me lui non vuole vincere, dice che pareggiamo sempre, poi io mi dimentico e ogni tanto vinco, tanto per fargli capire che il mondo è impietoso. Mattia adesso fa considerazioni piuttosto complesse, non ti lascia passare neppure un momento di distrazione, diventa impegnativo. Gli ho detto, ieri notte mi sono sognato che volevi partire per gli Stati Uniti, per l'America. "Io non parto, tu sei il mio papà e lei è la mia mamma". Chiuso. Sono soddisfazioni in questi giorni di maretta locale. Il giornale va benissimo (basta vederlo, oggi è in edicola) ma diventa sempre più faticoso raccontare la "mischia" standone fuori, senza assumere l'aria di arbitri, che è sempre una figura di gente che non sa giocare e quindi giudica i giocatori. Per conto mio ho giocato e molto. Ho detto a Mattia che non è obbligato a fare da grande quello che fanno papà e mamma, può fare quello che vorrà fare. Intanto ha imparato a contare fino a 30, legge i numero civici e finalmente li mette insieme, "2 e 4, 24!". A me pare di ricordare che alla sua età ero fermo alle aste, se mai le sapevo fare. Ma devo insegnargli tutto senza far vedere che glielo insegno, altrimenti si infastidisce.
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